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Italia: Covid-19 aggrava gli ostacoli all'aborto legale

Misure inadeguate aumentano i rischi già esistenti per la vita e la salute

Striscioni e poster di un sit-in di attiviste Pro-Choice, organizzato dalla Rete Italiana Contraccezione Aborto, presso il Ministero della Saluta a Roma il 2 luglio 2020. Le attiviste e le organizzazioni hanno chiesto una contraccezione gratuita e accessibile e la garanzia dell’accesso all’aborto. © 2020 Matteo Nardone/Pacific Press/LightRocket via Getty Images

(Londra) – L'inerzia del governo ha lasciato donne e ragazze di fronte ad ostacoli evitabili nell'accesso all’aborto in Italia durante la pandemia Covid-19, mettendo a rischio la loro salute e la loro vita, ha dichiarato oggi Human Rights Watch.

Il fallimento del governo nell'assicurare un percorso chiaro a cure essenziali e urgenti nel corso della pandemia ha causato interruzioni dei servizi per l’aborto e ha impedito ad alcune donne di accedervi nei tempi previsti dalla legge, aggravando ostacoli di lunga data per un aborto sicuro e legale in Italia. 

“Donne e ragazze in Italia si sono ritrovate di fronte a ostacoli talvolta insormontabili per ottenere cure sanitarie sessuali e riproduttive di cui avevano bisogno in un momento di crisi,” ha detto Hillary Margolis, ricercatrice esperta sui diritti delle donne a Human Rights Watch. “La pandemia di Covid-19 non ha fatto altro che evidenziare il labirintico sistema italiano per accedere all'aborto e dimostrare come le restrizioni obsolete del Paese causino danni invece di garantire protezione”.

Tra maggio e luglio 2020, Human Rights Watch ha intervistato 17 tra medici, accademici e attiviste per i diritti delle donne, così come cinque donne che hanno cercato di abortire o di ottenere cure mediche relative all'interruzione di gravidanza dopo l'inizio dell'epidemia di Covid-19 in Italia lo scorso febbraio. In una lettera al Ministero della Salute, Human Rights Watch ha presentato il frutto della ricerca e ha richiesto un commento, ma non ha ricevuto risposta. 

L'aborto in Italia è legale durante i primi novanta giorni di gravidanza per ragioni di salute, economiche, sociali o personali. Tuttavia, tra requisiti gravosi e l'uso diffuso dell'“obiezione di coscienza” da parte del personale medico per negare le cure, donne e ragazze si ritrovano ad affannarsi per trovare servizi medici entro i tempi previsti dalla legge, spesso dovendo effettuare visite in molteplici strutture, in Italia o all'estero – spostamenti impediti dai divieti di viaggio locali e internazionali per evitare la diffusione di Covid-19. Alcune strutture hanno sospeso i servizi sanitari per l’aborto durante la pandemia, o riassegnato personale ginecologico ai reparti dedicati al Covid-19.

Il governo italiano non ha considerato immediatamente l'aborto un servizio sanitario essenziale durante la pandemia. Il Ministero della Salute ha chiarito il 30 marzo che i servizi relativi all'interruzione di gravidanza sono indifferibili, ma ospedali e cliniche non hanno sempre seguito questa indicazione. Delle esperte hanno detto a Human Rights Watch che una mancanza di informazioni sui servizi disponibili durante la crisi Covid-19 ha ulteriormente inasprito l'accesso.

“Sono entrata in panico perché non sapevo dove andare,” ha detto una donna sulla quarantina che aveva cercato un medico per autorizzare ed eseguire il suo aborto a metà marzo in Lombardia, una delle regioni più gravemente colpite all'inizio del contagio in Italia. Racconta di essere stata mandata da una struttura sanitaria all'altra, poiché ognuna di esse le ha negato assistenza a causa della crisi  Covid-19.  “Lo Stato italiano mi ha sbattuto la porta in faccia,” ha detto. Alla fine, è riuscita ad abortire in un ospedale di un’altra città.

Diversamente da altri governi europei, le autorità italiane non hanno adottato misure per facilitare l'accesso all’aborto farmacologico durante la pandemia. L'aborto farmacologico è un modo sicuro ed efficace per interrompere una gravidanza usando medicinali anziché metodi chirurgici più invasivi. L'Oms raccomanda la somministrazione di mifeprostone seguita da misoprostolo per l'aborto farmacologico, che, afferma, puo’ essere tranquillamente  autogestita dalle donne fino alla dodicesima settimana di gravidanza, quando sono disponibili informazioni dettagliate e il sostegno di un medico.

Ma l'aborto farmacologico in Italia è legale solo fino alla settima settimana di gravidanza, —quando alcune persone potrebbero non sapere di essere incinte — e le linee guida nazionali richiedono che i farmaci siano somministrati nel corso di un ricovero di tre giorni. Mentre l'aborto chirurgico può effettuarsi in day hospital o in ambulatorio, solo 5 regioni su 20 in Italia permettono l'aborto farmacologico in regime ambulatoriale.

Le indicazioni dell'Italia sull'aborto farmacologico sono in contrasto con le raccomandazioni di salute pubblica volte a minimizzare le visite in ospedale durante la crisi Covid-19. Le persone intervistate hanno detto che alcune strutture hanno sospeso, durante la pandemia, i servizi sanitari relativi all'interruzione volontaria di gravidanza, specialmente l'aborto farmacologico, perché ritenevano che la necessità di molteplici visite o di ricovero fossero un rischio troppo grande o gravoso su strutture già sotto sforzo. Hanno anche detto che alcune donne avevano timore a recarsi negli ospedali per paura di contagio.

Anche le restrizioni agli spostamenti hanno inibito l'accesso all'aborto. Nelle aree dichiarate “zone rosse” nel corso dell'epidemia di Covid-19, le persone potevano muoversi da casa per emergenze sanitarie, ma dovevano fornire una giustificazione alle autorità se fermate e potevano essere multate in caso di violazioni. Alcune donne hanno detto che la prospettiva di dichiarare alle autorità che stavano cercando di effettuare un aborto era di per sé un deterrente.

Esperte, attiviste, e organizzazioni professionali, compresa la Società italiana di ginecologia e ostetricia (SIGO), hanno richiesto al governo di espandere l'accesso all'aborto farmacologico in risposta al Covid-19. Il 2 luglio, compiendo un passo in avanti, il Ministero della Salute ha confermato di aver chiesto al Consiglio Superiore di Sanità di riesaminare le linee guida nazionali sull'aborto farmacologico.

Il governo italiano dovrebbe assicurare che risposta alla pandemia Covid-19 e ad altre emergenze non costituisca un impedimento ingiustificato all'accesso all'aborto, ha detto, Human Rights Watch. Per assicurare cure sicure ed accessibili, il governo dovrebbe seguire i consigli medici come quelli contenuti nelle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), estendendo i tempi previsti per l'aborto farmacologico fino a dodici settimane ed eliminando il requisito del ricovero, fornendo invece una guida sull'autogestione dell'aborto farmacologico con consulenze di persona o con telemedicina.

Il governo dovrebbe anche rimuovere i requisiti gravosi e concentrarsi su altri ostacoli di lunga data per l’accesso all'aborto che indeboliscono i diritti riproduttivi. Ciò comprende l'eliminazione del periodo di attesa obbligatorio, e far sì che le regioni rispettino i propri obblighi così che l'obiezione di coscienza non impedisca l'accesso all’aborto. Il governo dovrebbe assicurare che l'obiezione di coscienza sia invocata solo da individui anziché da intere strutture, che e sia accompagnata da adeguati rinvii a servizi alternativi.

“La pandemia Covid-19 ha fatto luce su ciò che donne e ragazze in Italia sanno da molto tempo-- la legge dice che possono abortire in modo sicuro e legale, ma in realtà incontrano ostacoli ad ogni passo,” ha detto Margolis. “Ciò dovrebbe servire da campanello d'allarme che, crisi o meno, la protezione dei diritti riproduttivi non è opzionale.”

Per maggiori informazioni sull'accesso all'aborto in Italia, si prega di leggere di seguito.

I nomi delle donne che hanno cercato di abortire sono stati cambiati per proteggerne la privacy.  Le interviste sono state condotte a distanza per video o per telefono in inglese, italiano, o in italiano con un interprete. I partecipanti hanno dato un consenso pieno e informato all'inizio di ogni intervista.

Normativa e politica nazionali 

La legge 194 del 1978 permette l’aborto per qualsiasi ragione nei primi 90 giorni della gravidanza. Solo tre stati in Europa hanno un termine legale più breve per l’aborto su richiesta. Molte donne possono non rendersi conto o avere la conferma di essere incinte, solo verso la fine del primo trimestre.

La legge 194 prevede requisiti gravosi, tra cui un'attesa di sette giorni e una consulenza obbligatoria “per aiutare [la donna] a rimuovere i fattori che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”. Il sito internet del Ministero della Salute indica che “l’obiettivo primario della legge [194] è la tutela sociale della maternità e la prevenzione dell’aborto.”

L'aborto può essere effettuato in ospedali pubblici, e in alcuni casi, in cliniche private finanziate con fondi pubblici. Rientra tra le pratiche garantite e gratuite della salute riproduttiva per i cittadini, i residenti di lungo periodo e le persone con status irregolare munite di una speciale tessera sanitaria.

Requisiti gravosi

Ottenere l'interruzione di gravidanza in Italia è un processo lungo che comporta molteplici visite mediche, inclusa quella per certificare lo stato di gravidanza, la durata della stessa, e il desiderio di interromperla. A meno che il dottore affermi che l'aborto sia necessario e urgente, segue un periodo di attesa di sette giorni, il più lungo in Europa. Spesso ci sono anche attese molto lunghe per ottenere un appuntamento per abortire. Le persone intervistate hanno riferito che tali ritardi impediscono l'accesso al metodo farmacologico o chirurgico nei tempi stabiliti dalla legge e minano le scelte riproduttive delle donne.

A marzo, durante l'epidemia di Covid-19, dopo aver cercato un medico in Lombardia che fornisse assitenza per l’aborto affinchè le rilasciasse il certificato, Valentina racconta di essersi recata in un ospedale della sua città per abortire:

“Dopo tre settimane di malessere, vomito, andando in giro per diversi ospedali, sono andata in [un] ospedale e mi hanno detto, ‘La richiameremo tra sette giorni [d'attesa],’” racconta Valentina. “Io ho detto, ‘Non ho bisogno di sette giorni per pensarci. Sono una madre, lavoro, ho già difficoltà a crescere i miei due figli... Ma hanno risposto, ‘È la legge.”

Valentina ha detto che era intorno alla quinta o sesta settimana e che era preoccupata di superare il termine legale per il metodo farmacologico. Alla fine, è riuscita a interrompere la gravidanza in una città nei dintorni.

Obiezione di coscienza

Secondo la legge 194, il personale medico può rifiutarsi di praticare l'interruzione di gravidanza sulla base di una “obiezione di coscienza” a meno che la vita della donna sia in “imminente pericolo.” Le statistiche officiali del 2018 illustrano che il 69 per cento dei ginecologi e il 46 per cento degli anestetisti a livello nazionale si sono dichiarati obiettori. Le stesse statistiche governative rivelano che in un quarto delle aree elencate, oltre l'80% dei ginecologi e almeno il 60% degli anestesisti sono registrati come obiettori di coscienza. I dati governativi mostrano che l'anestesia generale è stata utilizzata in oltre il 52 per cento degli aborti in Italia nel 2018, rendendo l'alto tasso di obiezione degli anestesisti un notevole ostacolo.

La legge 194 obbliga le autorità a far sì che l'obiezione di coscienza non impedisca l'adempimento delle richieste legali di interruzione di gravidanza, anche se ciò dovesse comportare la ricollocazione del personale. Specifica, inoltre, che il personale sanitario non puo’negare cure pre o post-aborto. Tuttavia, le persone intervistate hanno detto che queste misure non sono sostenute o applicate.

A metà marzo “Chiara”, 24 anni, ha provato dolore e sintomi di infezione in seguito a un aborto avuto diversi mesi prima. Il personale del primo consultorio che ha visitato in Calabria le disse che il loro unico dottore non obiettore era in vacanza per un periodo imprecisato. “Allora sono andata in un centro in una città nelle vicinanze, e hanno detto ‘Non facciamo visite relative ad aborti, nè prima nè dopo, perchè il capo del centro è un obiettore’” ha detto Chiara. Secondo la circolare del Ministro della Salute del 30 marzo, tra le cure non rinviabili durante la pandemia Covid-19 sono inclusi gli esami ginecologici per infezioni vaginali.

Ostacoli durante la pandemia

Le persone intervistate hanno riferito che le restrizioni agli spostamenti, la mancanza di informazioni e la chiusura di servizi durante la pandemia Covid-19 hanno esacerbato i ritardi nell'accesso all’aborto nei tempi previsti dalla legge.

Restrizioni agli spostamenti

Il 23 febbraio, il governo italiano ha dichiarato “zone rosse”  alcune parti della Lombardia e del Veneto, proibendo spostamenti da o verso determinati comuni. Il 9 marzo, il governo ha esteso queste misure a tutta l'Italia. Gli spostamenti al di fuori delle abitazioni venivano così permessi solo per motivi di lavoro, per acquisto di beni di prima necessita’, o per ragioni di salute. La normativa prevedeva l'obbligo di "autocertificare" le ragioni degli spostamenti che, secondo un sito web governativo, potevano "essere soggette a controlli successivi" e costituire reato se risultavano false.

In Italia le donne si avventurano spesso al di fuori delle proprie città o regioni per accedere all’aborto, ma le misure di emergenza hanno limitato queste opzioni. Silvana Agatone, Presidente della Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194 (Laiga), ha detto che donne del nord Italia hanno iniziato a contattarla a febbraio per chiedere aiuto per trovare servizi locali che erano ancora operativi perché viaggiare era impossibile. “nelle citta’ vicine, le donne non venivano anche se provenienti da zone non ancora ‘rosse,’ perchè le unità di crisi degli ospedali non accettavano persone provienti da fuori citta’, quindi erano bloccate e non potevano andare [altrove],” ha spiegato.

"Elisabetta", 28 anni, ha detto che le restrizioni agli spostamenti hanno peggiorato le sue difficoltà a trovare una struttura in Lombardia per l'interruzione di gravidanza: “Ho cominciato a provare ansia perchè ero in una zona rossa. Non sapevo come spostarmi o [dove andare] per avere un certificato.”
 

Mancanza di indicazioni e informazioni

Le persone intervistate hanno detto che, anche dopo la conferma del Ministro della Salute che i servizi per l’aborto erano indifferibili, la mancanza di linee guida relative alla prestazione di questi servizi durante la pandemia ha ostacolato il rispetto della normativa. Il 31 marzo, il Ministero della Salute ha pubblicato linee-guida per assistere le donne gravide-partoriente, le puerpere, i neonati, nonché per l'allattamento al seno, ma nessuna linea guida per ma nessuna guida per l'assistenza relativa all'aborto.

“Durante il lockdown, le Società di ginecologi hanno dovuto interpretare le indicazione del governo, e ciò ha richiesto tempo,” ha detto la Dott.ssa Suzanne Mbiye Diku, una ginecologa di Roma. “Abbiamo perso settimane…. Io stessa ho avuto almeno tre o quattro casi di donne arrivate troppo tardi. Non rientravano più nei termini [legali] per abortire.”

La mancata centralizzazione di informazioni sui servizi disponibili ha portato a confusione e ritardi. Sara Martelli, coordinatrice della campagna Aborto al sicuro per l'Italia e membro della Rete italiana per la contraccezione aborto (Pro-Choice/Rica), dice che attiviste e donne hanno dovuto determinare autonomamente dove i servizi fossero rimasti in funzione “Tutte queste informazioni sono state raccolte attraverso telefonate, passaparola, e attraverso le persone che lavoravano in queste strutture,” ha detto Martelli a giugno. “È inaccettabile che non ci sia accesso a queste informazioni ….  Stiamo parlando di due mesi [dall'inizio della pandemia] e nessuno sa ancora niente.”

Mancanza di servizi disponibili

Alcuni servizi di salute riproduttiva sono stati sospesi o trasferiti per fare spazio ai pazienti  Covid-19. La riassegnazione di personale medico ai reparti di Covid-19, e l'assenza di personale dovuta a malattia o auto-isolamento, hanno anch'esse portato alla riduzione di servizi. Particolarmente colpiti sono stati i servizi nel nord Italia, dove la pandemia ha colpito prima e più duramente.

Valentina ha cercato un dottore per autorizzare ed effettuare un aborto a metà marzo in Lombardia, tra le aree più colpite dallo scoppio dell'epidemia in Italia. Ha detto:

"Sono andata dal mio ginecologo e mi ha detto, non posso visitarti per via del Covid. Sono andata in ospedale, e mi hanno detto non possiamo visitarti per via del Covid. Sono andata in un altro ospedale –non mi hanno neanche fatta entrare perchè hanno detto che accettavano solo casi urgenti. Mi hanno detto di andare in consultorio. Così ho chiamato il consultorio. Mi hanno risposto che erano chiusi per via della pandemia."

Valentina ha detto che si sentiva disperata: "Lo Stato italiano mi ha sbattuto la porta in faccia." Alla fine, è riuscita ad abortire in un ospedale in un’altra città.

In alcuni casi, i ritardi nell’ottenere il certificato necessario, perché le strutture hanno chiuso o hanno smesso di fornire servizi durante la pandemia, si sono tradotti nel superamento dei termini legali per l’aborto farmacologico o chirurgico. Le persone intervistate hanno detto che è impossibile risalire a quante donne siano ricorse a metodi rischiosi per abortire.

Elisabetta ha provato ad ottenere un aborto farmacologico a Milano quando ha scoperto di essere incinta a inizio aprile.

“Ho chiamato tutti gli ospedali della provincia di Milano,” racconta. “Alcuni mi hanno detto di aver sospeso il servizio, altri che non lo offrivano affatto…. Alcuni hanno detto puoi venire e stare in fila tutto il giorno, ma dovremo vedere se riusciamo ad inserirti dato che siamo solo in grado di vedere circa tre ragazze al giorno.”  Quando Elisabetta ha trovato un ospedale in una città a circa 60 chilometri, il dottore le ha detto che aveva superato i limiti legali per l'aborto farmacologico. Il suo aborto chirurgico è stato allora fissato per la metà di maggio: “Nella mia testa facevo i conti - sarebbe stato appena due giorni prima della data legale definitiva per interrompere la gravidanza.”

Una dottoressa di un ospedale pubblico di Roma, che fa da punto di riferimento nella regione Lazio, ha detto di aver registrato un aumento di circa il 20% di donne che richiedevano di abortire durante la pandemia Covid-19, attribuendo ciò al fatto che alcune strutture avevano chiuso o smesso di rilasciare i certificati, o di effettuare interruzioni di gravidanza. Organizzazioni nongovernative che facilitano l'accesso all'aborto hanno detto che le richieste di assistenza sono aumentate significativamente, in parte a causa della riduzione dei servizi e delle restrizioni agli spostamenti.

“La nostra linea di emergenza, aperta 24 ore sue 24, è passata da 2 a 3 richieste di aiuto al mese a 5-6 richieste al giorno” ha detto Eleonora Mizzoni di Obiezione Respinta, un gruppo che mappa e fornisce informazioni sui servizi per l'aborto. Ha detto che sono anche aumentate le ricerche e le richieste attraverso i social.

La dott.ssa Abigail Aiken dell'Università del Texas ad Austin sta conducendo una ricerca sull'accesso all'aborto in Europa durante il Covid-19 con dati da Women on Web, che fornisce farmaci per l'aborto via posta in aree con accesso limitato. La dott.ssa Aiken ha dichiarato che la ricerca, sulla base di analisi storiche dei dati, dimostra un incremento di contatti dall'Italia a Women on Web del 40 per cento nel periodo che va dal 10 marzo rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato prima della pandemia.

Accesso all'aborto farmacologico durante il Covid-19

La legge 194 è tra la più restrittive nell'Unione europea per quanto riguarda l’aborto farmacologico, con un limite legale di sette settimane. Almeno 16 Stati consentono l’aborto farmacologico fino a nove settimane, o piu’.

Le linee guida del Governo che prevedono un ricovero ospedaliero di tre giorni per l'aborto farmacologico, citano la preoccupazione per la morte per emorragia, nonostante l'Oms non abbia riscontarato un aumento del rischo associato ad una gestione domiciliae dell'aborto farmacologico, e abbia ritenuto che possa aiutare a combattere i rischi associati ad un aborto non sicuro. Le persone intervistate hanno detto che non c'è una base scientifica per il criterio dei tre giorni e indicano altri Paesi dell'Unione europea e persino aree dell'Italia che hanno adottato con successo misure meno restrittive. Le autorità regionali hanno discrezione nell'attuazione a livello locale dei protocolli, ma solo 5 regioni su 20 permettono l'aborto farmacologico in ambulatorio piuttosto che richiedere il ricovero di tre giorni.

“I tre giorni sono assolutamente folli,” ha detto una dottoressa di un ospedale pubblico a Roma, notando che l'aborto farmacologico nel Lazio si fa in ambulatorio. “Sappiamo che ci sono realtà diverse in alcune regioni.”

Anche se effettuato in ambulatorio, l'aborto farmacologico in Italia impone tre appuntamenti: visita preliminare ed ecografia, somministrazione dei farmaci e controllo. Le persone intervistate hanno detto che i molteplici appuntamenti e il ricovero di tre giorni hanno contribuito alla sospensione del metodo farmacologico durante la crisi Covid-19. “[I dottori] dicevano, questo è troppo, tre visite [durante la pandemia] – quindi hanno semplicemente tagliato il servizio,” ha detto la dott.ssa Marina Toschi, ginecologa e membro della rete Pro-choice/RICA.

Le linee-guida nazionali, inoltre, erano in contraddizione con le misure di sanità pubblica adottate durante la crisi. “Molte strutture hanno reagito smettendo di amministrare il metodo farmacologico perche’- assurdamente- le linee-guida [nazionali] chiedono un ricovero di tre giorni per l'aborto farmacologico, mentre le linee Covid-19 prevedevano la riduzione dei ricoveri”. ha detto Martelli.

La dott.ssa Toschi, che lavora in Umbria e nelle Marche, ha detto che persino prima della pandemia Covid-19 solo il venti per cento circa degli ospedali in Italia effettuava l'aborto farmacologico. Ha riferito che tutti i servizi di aborto con metodo farmacologico sono cessati nelle Marche durante la pandemia e che non erano ancora stati riaperti fino al 7 luglio. In modo simile, a Catania, risulta che i consultori siano rimasti chiusi fino a metà giugno senza indicazioni su una possibilie riapertura, sebbene oftalmologia e altri servizi medici abbiano ripreso.

In Umbria, i servizi per l’aborto farmacologico sono continuati durante la pandemia, ma solo 3 ospedali su 11 li forniscono, ha detto la Dott.ssa Toschi. Statistiche ufficiali dimostrano che l'aborto farmacologico, usando la combinazione di mifepristone e prostaglandine, ammontano a meno del 21% degli aborti in Italia nel 2018. In molti stati Europei, oltre metà degli aborti sono farmacologici e in alcuni casi oltre 80 e il 90 per cento.

Iniziative per modificare i requisiti

Vari governi europei, tra cui Francia, Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda, Spagna e Germania hanno adottato misure per facilitare l'accesso all’aborto farmacologico durante la pandemia, anche attraverso l'estensione dei termini di legge, permettendo l’autogestione dell’aborto farmacologico  e conducendo consultazioni tramite  telemedicina.

All'inizo di aprile, gruppi non-governativi come LAIGA, Pro-Choice/RICA, l'Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto (AMICA), e l'Associazione Luca Coscioni, hanno scritto alle autorità italiane chiedendo l'estensione dei termini legali per l'aborto farmacologico, l'eliminazione del ricovero di tre giorni, nonchè l'uso della telemedicina per consentire accesso remoto all'aborto farmacologico durante la pandemia. Hanno reiterato le loro richieste lo scorso 8 giugno, notando che “le difficoltà e i rischi nell'accesso all'aborto persistono.”

A giugno, la Toscana è divenuta  la prima regione a permettere l'aborto fuori dagli ospedali, in cliniche designate. Il 14 maggio, le autorità toscane hanno adottato una risoluzione per estendere il limite per l'aborto farmacologico a nove settimane, constatando che la crisi Covid-19 aveva portato alla luce delle preoccupazioni relative all'accesso all’aborto

Diversamente, a metà giugno, il neoeletto governo umbro, guidato dal partito di destra della Lega Nord, ha ribaltato una politica che permetteva l'aborto farmacologico in regime ambulatoriale, tornando al ricovero di tre giorni.

Il 2 luglio, le attiviste pro-choice hanno manifestato di fronte al Ministero della Salute richiedendo maggiore accesso all'aborto farmacologico e contraccezione gratuita. In un incontro di quel giorno, i rappresentanti del Ministero hanno confermato di aver chiesto al Consiglio Superiore di Sanità di rivedere le linee guida nazionali sull'aborto farmacologico.

Accesso all'aborto dopo i 90 giorni durante Covid-19

Oltre i novanta giorni, l'aborto in Italia è legale se c'è una seria minaccia alla vita della donna. Può essere legale se c'è un serio rischio per la sua salute fisica o mentale, compreso nel caso in cui vi sia una diagnosi di gravi anomalie fetali, ma la legge prescrive che i medici adottino “ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.” Le persone intervistate hanno detto che ritardi negli esami e nelle diagnosi durante la gravidanza fanno sì che le donne non sempre siano consapevoli delle anomalie del feto nel corso del primo trimestre, e  alcune anomalie non possono essere identificate fino ad una fase più avanzata della gravidanza.

Le persone intervistate hanno detto che pochi dottori in Italia sono disposti a effettuare aborti oltre il limite di 90 giorni. “La maggior parte dei dottori dicono, ‘Non mi riguarda”, “Vada da qualche altra parte’”, dice la dott.ssa Toschi. Nella maggior parte dei casi, per ottenere un aborto in fase avanzata le persone devono recarsi all'estero, una sfida ulteriormente aggravata dai divieti di viaggio durante la pandemia.

"Martina", 30 anni, dottoressa, ha detto che i suoi medici l’hanno avvertita di un potenziale problema con la sua gravidanza a gennaio. “Ho chiesto ripetutamente di fare il test genetico, ma dicevano che il problema non era abbastanza grave,” racconta Martina. “Quando sei in una situazione del genere, dipendi dai medici. Non hai scelta.”

Quando l'esame ha confermato un'anomalia che causa gravi problemi alle ossa, Martina era alla 28esima settimana. Il personale dell'ospedale le disse che avrebbe potuto cercare di abortire fuori dall’Italia, ma non hanno dato ulteriori informazioni: “Hanno paura persino di dirti dove si può andare perchè temono problemi legali.”

Martina ha detto di aver cercato informazioni online freneticamente e di aver contattato ospedali all'estero, ma molti rispondevano che non avrebbero accettato pazienti dall'Italia per via della crisi Covid-19. Preoccupata dalla chiusura dei confini, Martina è andata in Francia a fine febbraio e alla fine ha trovato un ospedale dove abortire. Ha detto di essersi sentita fortunata di essere riuscita a lasciare il Paese prima della chiusura dei confini e di avere avuto la necessaria disponibilità economica circa €2,000 per l'intervento e le spese di viaggio.

Non ci sono informazioni disponibili su quante donne non hanno potuto accedere all'aborto dopo i 90 giorni, nonostante un grave rischio per la loro salute o per la loro vita, a causa delle restrizioni di viaggio legate alla Covid-19.

Sebbene la legge 194 richieda relazioni annuali sullo stato della sua attuazione, non sono disponibili dati relativi al rifiuto di prestare il servizio di aborto, quindi è impossibile sapere quante persone non sono state in grado di ottenere un aborto farmacologico o chirurgico entro i termini di legge o sono state rifiutate più volte prima di trovare una struttura che praticasse l’aborto.

Accesso alla contraccezione

Le persone intervistate hanno detto che gli ostacoli all'interruzione di gravidanza in Italia andrebbero considertati in combinazione con la mancanza di accesso alla contraccezione. La contraccezione gratuita attraverso il sistema sanitario nazionale è stata interrotta nel 2016, e solo sei regioni forniscono contraccezione ormonale gratuita. Le esperte fanno notare l'alto costo della contraccezione in Italia, proibitivo specialmente per donne povere e adolescenti. Le pillole anticoncezionali costano tra i 150 e i 200 euro all'anno, e un dispositivo anticoncezionale intrauterino tra i 250 e i 300 euro. Eleonora Mizzoni di Obezione Respinta sostiene che ciò crei una “discriminazione nell'accesso” alla contraccezione.

Nella lettera dell'8 giugno al Ministro della Salute, le organizzazioni non governative hanno chiesto misure urgenti durante la pandemia Covid-19 per includere la fornitura grauita di contraccettivi nei consultori, facendo notare che le conseguenze economiche della pandemia possono avere un effetto sulla capacità delle persone di acquistare contraccettivi.

Diritti umani e relativi obblighi

L'Italia ha l’obbligo di garantire il diritto al più alto standard di salute, compresa la salute sessuale e riproduttiva, in base ai trattati internazionali di cui è parte, tra cui la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (CIDESC) e la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) e dalla Carta sociale europea.

Organismi delle Nazioni Unite hanno riconosciuto che la negazione di accesso all'aborto può equivalere a violazioni dei diritti alla salute, alla privacy e alla libertà da trattamenti crudeli e inumani.  Il Comitato Onu che monitora il rispetto della CIDESC, ha fatto notare che l’accesso delle donne alla salute sessuale e riproduttiva completa  è “essenziale per la piena realizzazione di tutti i loro diritti umani,” e ha detto che gli stati dovrebbero rimuovere tutte le barriere. Nel 2017, Il Comitato Onu per i diritti umani e il Comitato che supervisiona l’attuazione della CEDAW hanno entrambi sollevato preoccupazioni relative alle persistenti barriere all'aborto in Italia, e hanno detto che il governo dovrebbe assicurare l'accesso all’aborto su tutto il territorio nazionale. Il comitato CEDAW, ha detto specificamente che il governo dovrebbe far sì che l'esercizio dell'obiezione di coscienza “non sia d'ostacolo a donne che desiderino porre termine a una gravidanza.” Organismi dell'Onu hanno fatto notare che periodi di attesa obbligatori costituiscono degli ostacoli all'aborto e hanno chiesto che vengano rimossi.

Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha stabilito, nel 2013 e nel 2015, che la mancata garanzia da parte dell'Italia di un accesso coerente all'aborto, compresa la pratica eccessivamente diffusa di invocare l’obiezione di coscienza, costituisce una violazione del diritto alla tutela della salute e alla non-discriminazione in violazione della Carta Sociale Europea.

Il Consiglio d'Europa ha detto che tutti gli Stati membri devono assicurare un pieno accesso alla salute riproduttiva, compreso l'aborto, nei loro piani di risposta alla pandemia Covid-19, e ha chiesto agli stati membri di “rimuovere con urgenza tutti gli ostacoli residuali che impediscono un accesso all'aborto in sicurezza.”

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